I denti come causa di malattie e basse aspettative di vita nei secoli passati?

I denti come causa di malattie e basse aspettative di vita nei secoli passati? 

By Lorenzo Acerra

Un problema molto comune nel diciassettesimo e diciottesimo secolo erano i denti consumati dalla carie che dopo qualche disagio sembrava che non dessero più fastidio e quindi venivano lasciati stare in bocca. Due autori del 700, il famoso Pierre Fauchard (1728) e il chirurgo generale dell’esercito inglese John Hunter (1771), segnalarono numerose guarigioni da reumatismi, malattie di occhi, orecchie e sistema nervoso ottenute grazie alla bonifica della bocca da questi denti. Mozart (1756 – 1791), per esempio, un anno prima della sua morte ebbe alcuni ascessi dentali che non furono trattati con l’estrazione. Ciò ha forse potuto contribuire sia ad una recidiva dei reumatismi che al decorso estremamente sfavorevole della sua malattia. Mozart aveva ancora dieci denti al momento della sua morte, di cui tre denti con carie profonda, non estratti e nemmeno trattati (Bär C., “Mozarts Zahnkrankheiten”, Acta Mozartiana 9, 1962, 3, pp.47-54). “Per secoli,” scriveva John Hunter (1771), “i medici hanno dovuto prendere atto del fatto che i denti con la loro struttura particolare sono suscettibili di diventare la sede di piccole lesioni croniche infiammatorie localizzate che danno luogo a disturbi sistemici incredibilmente seri, anche quando localmente nella bocca il disturbo infiammatorio sembra quasi inesistente.”

Nell’arco dei 150 anni che seguirono troviamo segnalate nella letteratura medica del tempo all’incirca 25.000 – 30.000 osservazioni simili, per esempio nel 1801 il Dr. Benjamin Rush, firmatario della dichiarazione d’indipendenza, segnalava che epilessia, dermatiti, problemi digestivi, mal di testa e artriti venivano guariti con l’estrazione dei denti infetti ed invocava a testimoni di questa correlazione i numerosi autori che lo avevano preceduto.

Fabricius Hildanus (1560-1634), Nicolas Tulp (1593-1674), Charles St. Yves (1667-1733), Marcello Malpighi (1628-1694), Frederik Ruysch (1638-1731), Nathaniel Highmore (1630-1690) e Christopher Schelhammer (1649 -1719) si distinsero per le loro indagini sui denti e le loro osservazioni che i denti malati potessero diventare la causa di vari tipi di patologie nell’organismo. Stiamo parlando dei più illustri medici dell’epoca.

Dentista egiziano 3000 anni fa

Se facciamo ancora un passo indietro nel tempo, Ippocrate (460 – 375 a.C.) segnalò numerosissimi esempi in cui la patologia dentale aveva l’effetto d’iniziare reazioni in altre parti del corpo. Per esempio affermò che “un reumatismo che resisteva ai tentativi di guarigione poteva essere eliminato estraendo eventuali denti compromessi” (On Epidemics, Hb. ii, section i, p. 1002). Il più famoso medico di tutti i tempi aveva le idee chiare e infatti dichiarò che la maggior parte delle suppurazioni focali causate dai denti provenivano dalle infiammazioni create dai denti del giudizio. Per esempio nel caso di un ragazzo che aveva dolore in un terzo molare dell’arcata inferiore destra, Ippocrate si diceva sicuro del ruolo causale di quella situazione dentale sulla suppurazione a carico dell’orecchio dello stesso lato. Anche di recente numerosi autori, confrontando mandibole dall’antichità ad oggi, hanno spiegato che i denti del giudizio sono un attavismo – derivato da un’epoca quando il muso dei nostri antenati era più lungo, mentre oggi invece il dente del giudizio purtroppo spunta sul ramo ascendente della mandibola (Adler 1972, Mieg 1999, Lechner 1991, Grossman 1996). Non solo a volte il dente del giudizio non spunta proprio fuori ma, quando lo fa, spesso si presenta con un anomalo grado di inclinazione oppure comunque soffre la mancanza di spazio e in vari modi ciò crea situazioni croniche d’infiammazione locali e focali.

Ippocrate si rifaceva in realtà alla tradizione di Esculapio, che rimase in vigore tra il 1100 a.C. e il 400 d.C. e che inizialmente veniva praticata solo dai sacerdoti dei templi esculaplei, per esempio quelli di Epidauro, Cos, Cnydus, and Rodi, mentre in seguito fu ripresa anche da guaritori non sacerdoti. Ippocrate operava al tempio di Cos. Un altro argomento affrontato era il contributo infiammatorio notevole apportato dai periodi di dentizione difficile nei bambini che poteva far insorgere problemi in numerose diverse parti dell’organismo. Quest’idea in realtà, accennata da Omero nell’Odissea, apparteneva anche ad Esculapio ed è stata descritta dalla letteratura di ogni epoca, dagli scritti in India del 1000 a.C. fino a Soranus di Efeso (117 d.C.) e ai medici del diciassettesimo secolo. Questa osservazione ricorrente su disturbi a distanza che vengono innescati da un’infiammazione nella bocca evidentemente venne accolta dal modus operandi olistico di Esculapio che spesso chiamava in causa la “forza vitale”.

In questo testo ci dobbiamo accontentare di seguire alcuni aspetti del discorso nelle parole di Ippocrate, che sono più concrete e che ci vengono da fonti dirette, perché tutte le fonti che citano l’approccio olistico di Esculapio sono così entusiaste da apparire miticizzate. Nello stabilire la diagnosi di una malattia, Ippocrate consigliava di cercare il suo punto di partenza. Per esempio se si trattava di mal di testa, di disturbi alle orecchie o agli occhi, o di un qualsiasi sintomo su un lato solo del corpo, insisteva che la causa poteva essere spesso rintracciata in qualche infiammazione nelle aree dei denti. La famosa massima ippocratica, “le malattie dovrebbero essere combattute alla loro origine”, esprime proprio questo modo di pensare.

Ippocrate aveva l’abitudine di fare osservazioni a 360° prendendo una gran quantità di appunti, proprio perché cercava di capire quale “spina irritativa” potesse essere la più rilevante nel caso specifico, la fonte degli “umori dannosi” che stavano invadendo l’organismo e creando il disturbo. La valutazione dello stato dei denti era preponderante, un elemento onnipresente nella sua indagine. Tutti i medici ippocratici dell’antichità avevano questo punto di vista, come per esempio Erofilo e Erasistrato, illustri dottori della scuola medica di Alessandria (300 a.C.). Interessante anche notare che il famoso enciclopedista e ricercatore medico romano, Aulo Cornelio Celso (25 a.C. – 50 d.C.) non fece altro che tramandare la tradizione medica ippocratica. Apprendiamo da Celso che i denti che causano il ritiro delle gengive sono morti e il terapeuta che non li prende in considerazione non riuscirà a far guarire i suoi pazienti. Detto in altre parole, “A tutti quelli che non conoscono la causa della malattia, risulterà anche impossibile curarla”. Secondo quanto spiegava Ippocrate, Celso coniò la famosa frase: “rubor, tumor, calor, dolor, functio lesa” (ripresa da Galeno, che nel 200 d.C. scrisse tre libri di commentari su Ippocrate), che descrive nell’ordine: (rubor) foci infiammatori, (tumor) rigonfiamento, concentrazione e perimetrazione di un focus di metaboliti infiammatori, (calor) la reazione primaria del sistema immunitario, (functio lesa) una fase tardiva, cronica, caratterizzata dalla degenerazione del tessuto invaso a distanza quando il sistema immunitario è sfiancato e meno efficiente.

Sfortunatamente nei secoli ci si dimenticherà quasi del tutto l’incoraggiamento di Ippocrate sulla necessità d’indagare la presenza nell’organismo di siti primari di infiammazione o di putrefazione localizzata, come per esempio l’interno dei denti compromessi, che diventa il fattore causale di disturbi a distanza, prima indebolendo le difese del sistema di regolazione e poi trasmigrando in altri siti secondo meccanismi di locus minoris resistentiae.

Nel 1838 il Dr. Shearjashub Spooner scriveva: “Non credo sia il caso di dubitare ancora che le malattie dei denti siano in grado di causare dei disturbi fisici a distanza e possano contribuire allo sviluppo di malattie sistemiche croniche.” E citava oltre alle sue osservazioni personali una quarantina di esempi di simili guarigioni pubblicati da Leonard Koecker in “Grundsätze der Zahn-Chirurgie” (Weimar, 1828). Fu proprio negli anni seguenti che ci fu lo scisma ufficiale e definitivo tra medicina e odontoiatria. Nel 1851 il prof. Thomas Bond, dell’Università di Baltimora, era protagonista di un ulteriore tentativo di ricucire la disattenzione crescente dei medici su questo argomento invitandoli a “non sottovalutare la patologia dentale come causa di difficoltà organiche a distanza, come invece sta accadendo oggi che facciano i più.” Per quanto in questo periodo ci siano ancora molti autori interessati a questo tema, significativo è il seguente passaggio di Samuel Fitch, autore di “System of Dental Surgery” (1827): “Voi mi direte, com’è possibile che la correlazione tra patologie dentali e malattie sistemiche, se è vera, sfugga all’attenzione della più parte dei medici? Ebbene dovete sapere che gli insegnamenti sui denti da alcuni decenni sono stati tolti dal curriculum formativo dei medici, dopodichè questi generalmente non hanno la curiosità di valutare l’argomento in relazione alle malattie che sono già impegnati a curare con un folto arsenale di sostanze.”

Senza ora voler entrare troppo nel dettaglio, il discorso è che i micobatteri o altri microrganismi patologici non sono sè stessi se prima non hanno trovato un antro in cui essere localizzati preferenzialmente e proliferare. Ebbene l’occasione giusta viene fornita dalla struttura dei denti al microrganismo nel momento in cui la vitalità del dente vacilla (Avdonina 1991)

 

Diversi autori anche nel corso dell’ultimo secolo hanno fatto questa scoperta della correlazione tra malattie croniche degenerative e necrosi mandibolari o denti infetti asintomatici perché devitalizzati. La presenza di questi denti è un fardello insostenibile per la forza vitale della persona malata, ribadivano sulla scia di Ippocrate il Dr. Josef Issel, il Dr Max Gerson e numerosi loro illustri colleghi che consigliavano di allontanare i denti devitalizzati nelle persone malate. Impossibilitati in questo articolo a seguire nel dettaglio i casi clinici presentati da questi autori e finanche fare un breve elenco di tutti gli altri che si sono avvicinati a questa tematica, vediamo come succede che un medico faccia questa scoperta autonomamente.

 

 

– Come ne sono venuto a conoscenza, Dr. Davo Koubi in: “O la bocca o la vita!”, Grancher Ed. 1991

Fu all’inizio della mia carriera, neo-assunto presso il dipartimento di Stomatologia dell’Università di Cannes, che iniziai a fare osservazioni inaspettate su come alcune malattie cronico-degenerative rispondevano all’estrazione di denti infetti. Una donna soffriva da nove anni di una malattia alla pelle con formazione continua di croste suppuranti. Sollevando una corona era uscita una puzza nauseabonda da un dente che perciò estraemmo. Togliendo quel dente, la sua condizione cronica sparì immediatamente. Un altro paio di osservazioni che feci nel giro di qualche settimana riguardavano: (1.) una undicenne, cui estrassi un dente da latte compromesso; l´effetto più rilevante fu quello di guarirla dalle sue difficoltà di mantenere normali valori di glicemia nel sangue; (2.) un’altra estrazione di un dente da latte infetto portò alla guarigione di una dermatite cronica in un altro ragazzo di dieci anni; i genitori mi segnalarono anche che dopo l’estrazione avevano notatao che il ragazzo era diventato molto meno agitato, non faceva più incubi come succedeva di frequente prima, si era liberato della sua occasionale insufficienza respiratoria. Mi ricordai allora cosa era accaduto con mio padre nel 1930. La sua vita sregolata si trovò davanti al verdetto della clinica Universitaria che preannunciava una sua fine prossima a causa di una tubercolosi con infezioni ricorrenti e congestione polmonare. Dovette restare a casa per quanto stava male e ciò non era mai successo in vita sua. Aveva 45 anni. Noi in famiglia eravamo sempre dipesi dal suo lavoro ed ora eravamo sull’orlo del lastrico! Ad un certo punto fu costretto ad andare dal dentista per dei terribili dolori al viso, noi pensavamo che fosse proprio la fine per lui! E invece no, fu la sua salvezza, perché gli trovarono uno stato di degradazione mandibolare avanzata, cioè un’osteomielite sotto tutti i denti che rese necessario estrarre non solo i denti devitalizzati ma anche quelli affianco, allo scopo di pulire l’osso e fermare i dolori. Avendo liberato la bocca da quelle nicchie putride, mio padre guarì, riprese tutti i suoi eccessi, e non ebbe mai più quelle malattie. Visse ancora 32 anni in discreta salute, cioè fino ai 77 anni di età. Certo, aveva dovuto mettere la dentiera, ma era guarito!

Come dice il Dr. G. Pelz in un libro del 1966, «a chi più e a chi meno, cari dentisti, è capitato a tutti di prendere atto, dopo un’estrazione di un dente devitalizzato infetto, delle reazioni entusiaste di pazienti che scoprivano di essere stati liberati da questo o da quel disturbo. Per esempio i pazienti riportavano che nel giro di due o tre giorni dall’estrazione un mal di testa era sparito, o addirittura una sciatalgia, o un dolore lombare. Questo evento, estremamente gratificante per il paziente, viene però spesso considerato una fortunata coincidenza temporale. Ma non si tratta affatto di un caso…». Decisi di tenere gli occhi aperti, volevo avere altri dati perché di certo non riuscivo a pronunciare il mio verdetto su una storia così impossibile da credere: guarigioni definitive e così nette solo dopo l’estrazione di un dente devitalizzato? Denti apparentemente perfetti erano invece compromessi? Ci fu una lunga, lunghissima fase che io chiamerei: l’apprendista ha delle riserve ma inizia a farsi una sua opinione. La perplessità del neofita mi obbligava ad un silenzio prudente.

La mia avida curiosità però ormai stava tracciando il solco di una opinione personale netta in base alle evidenze della scomparsa dei dolori e di una moltitudine di malattie acute o anche croniche! Altro che analisi del sangue, elettrocardiogramma, vaccini, auscultazione e quant’altro!! Io volevo vedere solo l’ortopanoramica quando mi si presentavano pazienti in difficoltà. Più andavo avanti e più diventavo dipendente da quel tipo di osservazione. Per quanto riguarda me, avevo iniziato a soffrire di mal di testa, vertigini e tachicardie poco dopo che all’età di 15 anni ebbi un dente devitalizzato. Dopo 16 anni andai a togliere quel dente e tutti quei problemi scomparvero insieme alla stanchezza. Ero stufo di crisi parossistiche che mi portavano quasi all’invadilità, nonostante una alimentazione curata. Farmaci allopatici, yoga e massaggi non ebbero mai ragione di questi disturbi cronici. Le diagnosi erano state varie: aerofagia, deficienza alla vescica biliare, sinusite, ipertensione. Strano che un 16enne avesse diagnosi di questo tipo. A 31 anni di età mi dissero che bisognava sacrificare l’appendicite. Tutti i medici concordavano nella diagnosi di appendicite cronica e si pensava che in qualche modo stesse contribuendo anche al peggioramento dei miei altri sintomi. Per quasi un anno fui obbligato a lavorare meno ore possibile e sospesi ogni altra mia attività. Prima di accettare la chirurgia per l’appendicite decisi di togliere dalla bocca quel dente che era stato devitalizzato poco prima della comparsa dei miei problemi 16 anni prima. Era un molare superiore che dalla radiografia sembrava ineccepibile, sia come terapia canalare che come tenuta senza infezioni. La gengiva era sana. Comunque la mia decisione era presa. L’assenteismo cronico cui le mie condizioni di salute mi condannavano fu la mia motivazione decisiva. Ritornai alla normalità dopo l’estrazione di quel dente devitalizzato. Che altro aggiungere? Migliaia di osservazioni simili si sono susseguite negli anni seguenti. Era come se un velo si fosse strappato davanti ai miei occhi. Ero entrato nella logica della soppressione della causa dei disturbi.

Abbiamo detto di mio padre, ora vorrei fare una piccola digressione su mia madre. Dopo i dolori reumatici fu colpita anche da un aneurismo. E mentre era saturata di consigli da tutte le parti su tisane e farmaci vari continuava a fare visite da dentisti. Io stesso l’avevo accompagnata a fare qualche devitalizzazione. A fronte dei mal di testa costanti, della paralisi facciale, delle vertigini, dei disturbi reumatici, mia madre sofferente e disperata aveva adottato un regime ferreo di farmaci, d’iniezioni per i dolori, ma anche una dieta macrobiotica accortissima. La sua tensione arteriale era arrivata a 29! Disperata aveva anche riposto le sue ultime speranze in riti religiosi e formule magiche. Oggi sicuramente mi crederebbe se le chiedessi di lasciarmi fare le estrazioni dei suoi denti devitalizzati. Secondo me sarebbe un atteggiamento sconsiderato e sbagliato da parte mia quello di insistere nel riportare tutte le patologie ad una causa sola. Ma altrettanto penalizzante e sbagliato sarebbe ignorare questo campo di ricerca. So per certo che la conoscenza di questi fenomeni di causa-effetto possono risultare utili ad un gran numero di persone. I denti devitalizzati diventano “focali” senza che ce ne si accorga e possono iniziare fenomeni distruttivi e infiammatori sull’osso sotto di essi.